Giacomo Tagliafico. Una passione per la pasticceria scoperta in mare

Pubblicato il: 09/09/2019 00:00

Nei cinquant’anni precedenti la Prima Guerra Mondiale 9 milioni di italiani lasciarono le loro case per cercare una vita migliore negli Stati Uniti, nei paesi dell’America latina, nelle colonie africane e in Francia. E le partenze non furono solo dal sud dell’Italia. Dal Veneto alla Sicilia tutte le regioni del nostro Paese diedero il loro contributo all’emigrazione.

Partirono uomini, donne, intere famiglie. E a volte partirono anche ragazzi da soli, come il sedicenne che potete vedere nella foto. Si chiamava Giacomo Tagliafico, il "bisnonno Giacomo" che ha fondato la Pasticceria Tagliafico.

Era il 1892, il nostro bisnonno aveva sedici anni e tanta voglia di lavorare e di imparare un mestiere. La risposta ai suoi desideri era il mare perché allora, come oggi, ogni nave era una piccola città che offriva tante opportunità a chi era disposto ad affrontare le durezze e i rischi della navigazione.

Giacomo trovò imbarco sulla Sirio, una nave passeggeri della compagnia Navigazione Generale Italiana che trasportava emigranti facendo la spola fra Genova e i porti di Rio de Janeiro e Buenos Aires. Iniziò la sua carriera in cucina come semplice garzone adibito alle mansioni più umili: lavare piatti e stoviglie, spazzare il pavimento e naturalmente sbucciare quintali di patate. Ma quando finiva questi compiti poteva seguire i cuochi mentre preparavano i pasti. A volte c’era chi aveva la pazienza di offrirgli consigli e spiegazioni. Ma anche quando non trovava un maestro si accontentava di osservare e studiare.

Il ruolo che più lo affascinava era quello del lievista. Oggi questa parola è scomparsa anche dai dizionari, ma una volta veniva usata per rappresentare quella abilità, a metà fra arte e scienza, di ottenere il giusto impasto per ogni diverso prodotto cucinato in forno: dal pane croccante alle torte più soffici. Un compito già difficile a terra e che in mare veniva esasperato dalle condizioni che si potevano trovare su una nave più di un secolo fa. Non esistevano locali climatizzati e stabilizzatori d’assetto perciò chi lavorava con lievito, farina e acqua doveva fare quotidianamente i conti con gli sbalzi di temperatura e di umidità dovuti al passaggio delle diverse latitudini e con le sollecitazioni del mare, dal monotono rollio alle brusche imbardate delle tempeste.

Era una sfida, certamente più difficile rispetto ad altri compiti che avrebbe potuto trovare in cucina. Ma la raccolse e la vinse. Imparò a fare il pane, i biscotti Lagaccio tanto amati dai marinai e naturalmente, da buon genovese, il pandolce. Quando ebbe inizio il XX secolo la sua abilità come pasticciere era ormai tale da permettergli di pensare ad un futuro sulla terraferma.

Aprì con un socio una pasticceria a Buenos Aires nel barrio di La Boca, un quartiere dove si era creata una folta comunità di genovesi che grazie a lui ritrovarono alcuni dei sapori della propria terra. Ma allo stesso tempo mantenne il lavoro sulla Sirio che gli permetteva di tornare a casa, dalla sua fidanzata Angiolina. Giacomo sapeva che non avrebbe potuto condurre a lungo questa vita da pendolare degli oceani. Voleva una casa e formare una famiglia, ma questo significava scegliere fra la ricca Argentina e la Liguria delle sue origini. A malincuore scelse Buenos Aires e si preparò per quelli che sarebbero stati i suoi ultimi anni di navigazione. Ma il destino aveva progetti diversi per lui e la sua famiglia.


Il 4 agosto 1906 la Sirio, due giorni dopo la partenza da Genova, si arenò e naufragò davanti alle coste della Spagna. Morirono 293 persone su un totale di 800 fra passeggeri e membri dell’equipaggio. Giacomo rimase per sette ore in mare prima di essere soccorso e per tutto quel tempo tenne stretto fra le braccia un bambino salvandolo dall’annegamento. La perdita della Sirio oggi è stata quasi dimenticata, anche per colpa del cinema che fra i tanti affondamenti della storia ha sempre preferito raccontare solo quello del Titanic. Ma per molti italiani questo episodio fu uno choc tale da convincerli a rinunciare a qualsiasi progetto oltre Atlantico. Fra questi vi fu proprio Angiolina, che rifiutò di partire e chiese a Giacomo di tornare in patria.

Fu così che nel 1910 Giacomo disse definitivamente addio all’Argentina. Vendette al socio la sua quota del negozio di Buenos Aires e rientrò a Genova, dove aprì un forno in Piazza del Cavalletto. Quelli che seguirono furono ancora anni difficili: la Prima Guerra Mondiale, la crisi economica degli anni venti e nel 1939 lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale con i bombardamenti che colpirono pesantemente la città. Eppure quando Giacomo morì nel 1945 la Pasticceria Tagliafico era ormai diventata un punto di riferimento per tutti i genovesi che cercavano la più raffinata qualità dolciaria. Un risultato eccezionale ottenuto da un uomo che, per scoprire quella che sarebbe stata la sua passione, fu capace di affrontare i sacrifici della vita in mare e in un altro continente.