L’8 ottobre è la giornata nazionale del caffè. Puoi mancare alla festa che l’Italia dedica alla bevanda più buona e più consumata del mondo? Certamente no! Allora vieni alla Pasticceria Tagliafico. Al mattino potrai bere uno squisito caffè accompagnato da brioche, croissant e da tanti altri dolci per la prima colazione. E dopo pranzo potrai gustarlo per dessert con una deliziosa miniporzione o un vassoio di mignon.
La giornata italiana del caffè è anche un’occasione per rispondere a una domanda: cosa succederebbe se finisse il caffè… in tutto il mondo?
Cosa succede se finisce il caffè… in tutto il mondo?
È mattina e inizi a preparare la colazione. Stai per riempire il filtro della moka quando ti accorgi che il barattolo del caffè è vuoto. Strano. Eppure ti ricordi di averlo riempito solo ieri. Poco male, perché in dispensa c’è una confezione da un chilo della tua miscela preferita, acquistata la settimana scorsa al supermercato con la promozione del sottocosto. Invece no. Ispezioni tutti gli scaffali, li svuoti ma non c’è traccia della busta di macinato. Dove può essere finita? Ma non è il caso di perdere altro tempo. Ti vesti e raggiungi la tua caffetteria preferita. Così invece dell’espresso fatto in casa potrai prendere un più esotico caffè al ginseng oppure un cappuccino ricco di schiuma, accompagnati da un croissant alla crema o da un muffin appena sfornati. Ma quando arrivi al bar tu, gli altri clienti e i commessi vedete sconcertati che dall’erogatore della macchina esce solo acqua calda. E a quel punto Internet e i telegiornali danno la spiegazione di quanto sta accadendo: il caffè è scomparso in tutto il pianeta. Non esiste più un solo chicco o granello su tutta la faccia della Terra.
L’idea che il caffè scompaia all’improvviso in tutto il mondo sembra più adatta a un film comico demenziale che a uno scenario da fantascienza post-apocalittica. Ma purtroppo quella che abbiamo presentato non è una bizzarra fantasia. Il caffè, ma anche il cacao, il miele e tanti altri alimenti potrebbero un giorno scomparire in seguito al riscaldamento globale, allo sfruttamento intensivo dei terreni agricoli e all’impiego dei pesticidi. È stata indicata persino una data per l’estinzione delle piante di caffè: il 2080.
Ma come sarebbe il mondo senza caffè? Un’esperienza simile è già stata vissuta e nemmeno troppo tempo fà, quando durante la Seconda Guerra Mondiale il caffè era razionato o era disponibile solo al mercato nero a prezzi salatissimi assieme allo zucchero, all’olio e ad altri generi di prima necessità.
Chi non poteva permettersi di pagare a peso d’oro un cucchiaino di Arabica o di Robusta ricorreva a surrogati del caffè. Alcuni, come quelli a base di orzo e di malto, sono sopravvissuti alla guerra e vengono ancora oggi utilizzati per la colazione, soprattutto di quella dei bambini. Particolarmente famoso era il surrogato di cicoria, ottenuto essiccando, tostando e polverizzando la radice di questa pianta. Anche questo prodotto è disponibile ai giorni nostri e si può trovare su Internet e nelle erboristerie. Ma la disperazione, accompagnata dall’inventiva tipica di noi italiani, poteva spingere a soluzioni davvero estreme. Le cucine si trasformavano così in laboratori di stregoneria dove le radici e le foglie di scarto di qualsiasi tipo di verdura venivano carbonizzate nei forni e frantumate con pestello e mortaio. Abbiamo notizie di esperimenti fatti con gambi di carciofi, bucce di zucca e persino ghiande e pigne. Non abbiamo invece notizie su cosa sia successo agli autori di questi esperimenti dopo aver bevuto i propri intrugli.
Non dobbiamo però pensare che i surrogati venissero bevuti con la logica con cui vengono assunte le medicine, quella secondo cui più sono cattive più fanno bene. Ad esempio il surrogato di cicoria poteva offrire al palato un gradevole sapore amarognolo. Ma anche nel migliore dei casi l’esperienza sensoriale non si avvicinava a quella offerta da un autentico caffè per l’assenza di un elemento fondamentale: la caffeina.
Oggi la moderna industria chimica potrebbe offrirci soluzioni più avanzate di quelle improvvisate durante la guerra dai nostri genitori o dai nostri nonni. Una possibilità sarebbe quella di creare un surrogato di caffè utilizzando la caffeina presente nelle foglie di tè. Basta pensare che 100 grammi di tè nero contengono 20 milligrammi di caffeina, un sesto di quella presente in una tazzina di caffè. Questa opzione naturalmente sarebbe possibile solo se nel frattempo non si fossero estinte anche le piante di tè.
Un’alternativa più preoccupante è che certe aziende alimentari con pochi scrupoli ricorrano all’adulterazione e alla contraffazione. I metodi sarebbero gli stessi che hanno permesso in questi anni di proporre ai consumatori salumi affumicati che non hanno mai visto un filo di fumo o formaggi prodotti senza una goccia di latte fresco. Avremmo così dei cloni di caffè capaci di ingannare il nostro olfatto e le nostre papille gustative, ma non il nostro organismo. Il caffè, quello autentico, non è soltanto buono ma se bevuto con moderazione può fare del bene al nostro organismo. Può prevenire i tumori, il morbo di Parkinson e le malattie del fegato. Un caffè clonato non solo non offrirebbe nessun beneficio ma sicuramente peggiorerebbe la nostra salute.
Ma tutte queste sono solo ipotesi, almeno per il momento. Abbiamo tempo fino al 2080 per continuare a gustare il nostro caffè mattutino. E soprattutto per prendere tutte quelle misure a tutela dell’ambiente che permetteranno anche alle future generazioni di condividere questo piacere.