L’idea che a ciò che mangiamo sia stato aggiunto qualcosa di vivo ci fa subito pensare a un ingrediente entrato nella pentola strisciando o camminando sulle zampette. A parte le aragoste, che terminano la loro esistenza con un bagno nell’acqua bollente, o cibi estremi come il casu frazigu, un formaggio sardo popolato di larve, i nostri tabù culturali ci vietano di portare in tavola qualcosa che non fosse già morto prima di arrivare in cucina o, al più tardi, dentro alla padella o nel forno.
Ma l’idea di alimentarci con un organismo vivente o di cucinarlo non dovrebbe impressionarci. Lo yogurt ad esempio occupa un posto importante nella nostra dieta perché è digeribile anche da chi è intollerante al latte, apporta calcio all’organismo, rafforza le difese immunitarie o semplicemente perché ci piace. Questo grazie ai fermenti che vengono introdotti nel latte modificandone le proprietà. E i fermenti sono microrganismi, entità viventi anche se molto piccole, che proprio nel latte trovano l’ambiente dove nutrirsi e riprodursi. Per fortuna le dimensioni contano e in questo caso sono tali da non colpire i nostri occhi e di conseguenza la sensibilità del nostro stomaco.
Oltre che nello yogurt i microrganismi entrano nel processo di produzione della birra, del vino, dei formaggi, dei salumi. Ma è nel pane che storicamente hanno avuto il primo impiego alimentare.
Il lievito madre
Oltre alle piramidi, alle mummie e ai geroglifici agli antichi egizi dobbiamo anche la scoperta del pane che oggi siamo abituati a consumare, quello morbido e fragrante.
Il pane era un alimento già conosciuto prima di questa civiltà, ma veniva cotto su pietra subito dopo aver impastato l’acqua e la farina ottenendo una specie di focaccia schiacciata e croccante, quella che oggi conosciamo come pane azzimo. Ma verso il 3500 a.C. in Egitto si inizia a lasciare un intervallo di tempo fra la preparazione dell’impasto e la sua cottura. Facendolo riposare a temperatura ambiente per un giorno la sua massa aumentava di volume, acquistava un aroma gradevole e una volta cotto era alto e soffice. Il pane si era evoluto grazie alla scoperta della fermentazione o, come preferiamo chiamarla in questo ambito, della lievitazione. E attraverso di essa era nato il più antico dei lieviti: il lievito madre.
Possiamo chiamarlo anche pasta madre, impasto acido o pasta acida ma qualunque sia il nome che vogliamo attribuirgli il lievito madre è un vero e proprio organismo vivente che può crescere, ha un sistema immunitario, può riprodursi e può morire.
È vivo perchè è composto da saccaromiceti (Saccharomyces cerevisiae), microrganismi appartenenti alla famiglia dei funghi, che si sviluppano spontaneamente nel momento in cui la farina e l’acqua vengono mescolate. Una volta nata la colonia inizia a riprodursi nutrendosi degli zuccheri contenuti nella stessa farina e producendo molecole di anidride carbonica che fanno aumentare il volume dell’impasto.
Allo stesso tempo il glutine che si trova negli amidi della farina viene trasformato in acido acetico e acido lattico, due conservanti naturali. Se esistono batteri “buoni” come i saccaromiceti esistono anche batteri “cattivi”, come le muffe, che possono inquinare l’impasto. Gli acidi svolgono però un’azione immunizzante contro questi organismi parassitari riducendo la necessità di aggiungere conservanti artificiali.
Si può riprodurre, o meglio si può autoriprodurre. Basta prelevare dall’impasto destinato alla cottura una porzione, il capo lievito, e aggiungerla all’impasto successivo per trasferirgli tutte le proprietà originali.
Come ogni altro organismo la madre deve poi essere poi nutrita con continui rinfreschi a base di acqua e farina e deve trovarsi in un ambiente favorevole. Cattive condizioni igieniche e temperature troppo alte o troppo basse uccideranno i suoi batteri.
Ma se il panettiere o il pasticciere che la custodiscono avranno verso di lei le stesse premure di un allevatore verso le mucche allora potrà vivere a lungo. In teoria in eterno, nella realtà certamente più di quanto possa sperare un bovino.
Il capo lievito originale che la Pasticceria Tagliafico usa in tutti i suoi prodotti lievitati risale al 1911, anno in cui è stato aperto a Genova il suo primo negozio. Grazie a continui rinfreschi quotidiani la pasta madre ottenuta da esso è stata tramandata di generazione in generazione fino ad oggi senza interruzioni, sopravvivendo a due guerre mondiali, un G8, diverse alluvioni, inverni polari ed estate torride senza perdere nessuna delle caratteristiche originali.
Il lievito compresso
La pasta madre è stato l’unico agente lievitante utilizzato per la panificazione fino al XIX secolo, quando le industrie alimentari hanno introdotto sul mercato il lievito compresso. È quello che siamo abituati a chiamare lievito di birra anche se questo termine si riferisce alla sua versione originale, ottenuta dai residui di fermentazione del malto d’orzo usato per la produzione della birra. Trattandosi di uno scarto offriva un limitato rendimento nel processo di lievitazione e l’impasto risultante aveva un sapore sgradevole. Quello che troviamo oggi sul mercato è ricavato invece dalla fermentazione della melassa, un derivato del processo di produzione dello zucchero da barbabietola.
Rispetto al lievito madre quello compresso è indubbiamente di più facile produzione, si conserva meglio e garantisce una resa maggiore sia in termini di volume che di tempo. Per fare un esempio per ottenere lo stesso volume di lievitazione sono sufficienti 10 grammi di lievito compresso ed un’ora di tempo contro i 100 grammi e le sei ore di un panetto di lievito madre.
I vantaggi del lievito madre
Il costo superiore del lievito madre è però compensato dai seguenti vantaggi:
- rende l’impasto più profumato e con un sapore più gradevole;
- conserva più a lungo pane e dolci grazie ai suoi acidi che frenano lo sviluppo di muffe e altri parassiti;
- apporta all’organismo minerali come calcio, magnesio, ferro, zinco, antiossidanti, acido folico e vitamine B;
- riduce il livello di acido fitico, una sostanza antinutriente che ostacola l’assorbimento dei minerali da parte dell’organismo e attacca alcuni degli enzimi che favoriscono la digestione;
- agisce da difesa contro le particelle proteiche che causano l’intolleranza al grano e alla celiachia;
- è più digeribile e nutriente, quindi genera un maggiore senso di sazietà;
- può essere consumato anche da chi soffre di diabete grazie al suo basso tenore glicemico;
- ha effetti benefici sulla flora intestinale e neutralizza numerosi germi patogeni intestinali come le salmonelle.
Se quindi decidiamo di scegliere un prodotto migliore e soprattutto più salutare allora varrà la pena di spendere qualche altro euro e anche qualche attimo per la lettura della lista degli ingredienti. Ma anche su questo punto è importante fare una precisazione.
Nella lista degli ingredienti potrà capitarci di trovare il lievito naturale. Non si tratta di lievito madre ma del lievito compresso. La legge italiana infatti autorizza a presentarlo anche sotto questo nome malgrado l’aggettivo si riferisca alla semplice presenza di microrganismi e non al metodo di produzione che avviene con criteri industriali. Ma i batteri, anche se “buoni”, non bastano da soli a trasmettere all’impasto tutti i pregi dell’effettivo processo di produzione naturale che può avvenire solo mescolando acqua e farina, senza nessun’altra aggiunta.