33! 36! 38! Offro 41! Rilancio di 45! Nessun’altra offerta? 45 e uno, 45 e due, 45 e tre! Il titolo di miglior panettone dell’anno è aggiudicato per 45 ore di lievitazione! Di fronte a una simile foga persino il miliardario che con 450 milioni di dollari ha vinto l’asta di Christie’s in cui veniva battuto il Salvator Mundi di Leonardo da Vinci si sentirebbe a disagio.
La festa più bella dell’anno si sta avvicinando, gli scaffali si riempiono di panettoni ed ogni produttore è pronto a tutto per aggiudicarsi la fetta più grande, non di panettone ma di un mercato che solo in Italia vale 380 milioni di euro. Ed è lievitazione la parola con cui da anni le campagne pubblicitarie tentano di convincere il pubblico a preferire una marca rispetto alle altre secondo un semplicissimo ragionamento: un panettone è buono perché è soffice, più lungo sarà il tempo di lievitazione più sarà soffice e quindi più sarà buono.
Quello della lievitazione è un passaggio fondamentale sia per la preparazione di una pagnotta che di una torta o di un dolce natalizio. Ma sono elementi fondamentali anche la scelta degli ingredienti, il loro giusto dosaggio, la lavorazione dell’impasto e il tempo di cottura. Sbagliare uno di questi aspetti significa rovinare il risultato finale. E non è nemmeno detto che privilegiarne uno rispetto agli altri possa portare a un dolce migliore. Usare delle uova di giornata o del latte fresco rendono il sapore di un dolce più gradevole, ma se decidessimo di raddoppiarne il dosaggio rispetto agli altri ingredienti lo renderemmo sgradevole se non immangiabile.
Questo principio vale anche per la lievitazione, che non si può ridurre semplicemente a una questione di ore.
La lievitazione
Per abitudine associamo la lievitazione ad agenti che possono essere biologici, come il lievito di birra o il lievito madre composti da microrganismi, o chimici, come il bicarbonato di sodio. Combinandosi con degli zuccheri o del calore entrambi producono anidride carbonica, lo stesso gas che espelliamo dai polmoni durante la respirazione. L’anidride carbonica resta intrappolata all’interno dell’impasto formando bolle che, come accade a ogni genere di gas, si espandono grazie al calore ambientale.
Le nostre nonne sapevano poco di chimica e di dinamica dei fluidi, ma l’esperienza aveva loro insegnato che uno dei sistemi per favorire la lievitazione del pane fatto in casa era quello di tenere l’impasto durante la notte sotto le coperte.
A tutti gli effetti anche l’anidride carbonica è un ingrediente. E come gli altri ingredienti non può essere né troppo né troppo poco, anche se la sua quantità non può essere misurata con la bilancia. Le unità di misura sono piuttosto il calore e il tempo.
L’azione del calore
E’ il calore che permette la lievitazione attraverso l’espansione dell’anidride carbonica. Può essere il calore trattenuto dalle coperte delle nostre nonne, ma può essere anche il calore trasmesso dalle nostre mani.
Una delle ragioni per cui i dolci lievitati di produzione artigianale sono superiori ai loro corrispettivi industriali è proprio nella lavorazione manuale dell’impasto. La continua pressione delle mani del pasticcere lo rende più elastico, amalgama gli ingredienti e gli trasmette anche il calore del corpo.
La lievitazione prosegue poi anche in forno, ma fino a un certo punto. Infatti mentre la torta o il panettone crescono la loro struttura allo stesso tempo si irrigidisce. Le bolle di anidride si espandono verso l’alto e verso i lati, finché non incontrano dei bordi della teglia o della guepiere del panettone, e proseguono la loro corsa verticalmente fino a quando non è la formazione della crosta a bloccarle.
L’azione del tempo
Arriviamo qui al punto fondamentale di questo approfondimento: quanto più è lunga la lievitazione tanto migliore sarà il dolce? Per assurdo una lievitazione infinita potrebbe portare a un dolce infinitamente buono?
La risposta è no, e non solo per l’impossibilità di riprodurre un esperimento del genere.
Già nel paragrafo precedente abbiamo spiegato che anche la lavorazione manuale svolge un ruolo nella lievitazione dell’impasto. Ma un bravo pasticcere sa quando è il momento di smettere: non quando è stanco, ma quando arriva al punto in cui le bolle di anidride si espandono fino a fuoriuscire invertendo il processo. Questo fenomeno è visibile già quando prepariamo in casa la pasta per la pizza e vediamo formarsi sulla superficie esterna delle bolle che scoppiettano. Potrà sembrare divertente, ma è il segnale che siamo arrivati al traguardo del nostro lavoro.
La fuga dell’anidride carbonica è accelerata dalla violenza delle mani ma avviene lo stesso, anche se in forma meno visibile, a causa del tempo. Nel forno è la crosta a trattenere le bolle di gas, ed anche questa resiste fino a un certo punto come dimostrano le fratture che compaiono in cima alle torte cotte troppo a lungo.
Ma anche a crudo la superficie dell’impasto tende a rompersi sotto le sollecitazioni del gas. Un’eccessiva durata della lievitazione si rivela così controproducente e porterebbe alla perdita di quella morbidezza conquistata in poche ore se non si creasse un impasto tanto forte da trattenere l’anidride. Il sistema c’è, e consiste nell’aggiungere degli additivi. Uno di questi si chiama glutine e sappiamo a cosa ci abbia portato il suo impiego irragionevole.
Un ottimo panettone può essere preparato con una prima lievitazione di 14 ore, seguita da una nuova lavorazione dell’impasto e da una seconda lievitazione di 8 ore. Anche se quello che avviene all’interno dell’impasto in queste tre diverse fasi non è assimilabile si potrebbe parlare di poco più 22 ore, la metà dei record annunciati dalle grandi industrie dolciarie.